Il primo pensiero di ogni donna che scopre di essere in dolce attesa è che il suo bambino goda di ottima salute; di conseguenza, la prima visita viene solitamente fissata dopo 2-4 settimane dalla mancata mestruazione, vale a dire intorno alla 6-8 settimana di gestazione, scegliendo un ginecologo professionista per effettuare tutti i controlli del caso. Tra questi, rientra anche l’amniocentesi, sempre più richiesta dalle coppie di futuri genitori che intendono escludere la presenza di qualsiasi problematica legata al benessere del nascituro.
Cos’è l’amniocentesi e chi deve farla
L’amniocentesi è un esame che prevede il prelievo di una piccola quantità di liquido amniotico, cioè quello che avvolge e protegge il feto all’interno dell’utero, la cui analisi permette di costruire la mappa cromosomica del bambino.
Quest’ultima, una volta pronta, consente di verificare la presenza o meno di anomalie congenite o malattie genetiche, quali:
- sindrome di Down;
- sindrome di Patau;
- sindrome di Edwards;
- fibrosi cistica;
- distrofia muscolare di Duchenne-Becker;
- talassemia;
- fenilchetonuria.
Qualunque donna in stato interessante può richiedere l’amniocentesi che, però, nello specifico è consigliata alle future mamme che:
- abbiano ricevuto un risultato positivo al test di screening prenatale (test combinato, bi test, tri test);
- abbiano altri figli affetti da malattie cromosomiche o difetti del tubo neurale, come la spina bifida;
- abbiano superato i 35 anni di età e non si siano sottoposte a test di screening nel I trimestre;
- abbiano casi in famiglia con malattie genetiche;
- abbiano ricevuto risultati ecografici che facciano sospettare la presenza di malattie genetiche.
Quando e come si svolge l’esame
La procedura dell’amniocentesi si effettua in ambulatorio e, di solito, non richiede una preparazione particolare da parte delle future mamme. Si esegue tra la 15esima e la 18esima settimana di gestazione, quindi intorno al 4 mese.
La paziente viene fatta sdraiare in posizione supina con l’addome scoperto; l’operatore esegui quindi un’ecografia per controllare il battito cardiaco, la posizione del feto e la placenta, per poi individuare il punto migliore per introdurre un ago sottile e cavo per arrivare all’utero e al sacco amniotico.
Una volta giunto, preleva circa 20 millilitri di liquido amniotico, rimuove l’ago e ricontrolla il battito cardiaco fetale. L’esame viene definito invasivo, ma per fortuna non è doloroso; dura circa 30-40 minuti, durante i quali le pazienti non vengono sottoposte ad anestesia.
Solo in presenza di mamme con gruppo sanguigno Rh Negativo si consiglia di eseguire una profilassi con immunoglobuline anti-D che prevengono la formazione di anticorpi contro le cellule sanguigne del feto.
Finito l’esame, alle pazienti è raccomandato di rimanere a riposo ed evitare di compiere qualunque sforzo per almeno 24 ore. Nel caso in cui si verificassero effetti collaterali come perdite di liquido o sangue dalla vagina, dolori o crampi addominali, febbre e anomalie nei movimenti fetali bisogna avvertire immediatamente il medico curante.
Rischi e complicanze
A causa della scarsa informazione in merito, la procedura prevista dall’amniocentesi viene fin troppo spesso sottovalutata, tanto che molte coppie di futuri genitori ne richiedono l’esecuzione senza prima conoscerne tutti i rischi e le eventuali complicanze.
Professionisti, associazioni e assessorati stanno cercando, da alcuni anni a questa parte, di evitarne l’esecuzione se non strettamente necessaria, proponendo alternative altrettanto valide ma meno invasive. I problemi che possono insorgere a causa dell’amniocentesi, infatti, sono diversi, ma il primo e più importante riguarda il rischio di aborto: nel 2003, in Italia, sono state eseguite 95.729 amniocentesi con 862 aborti spontanei. Nonostante questa complicanza colpisca poco meno dell’1% dei casi, possono verificarsi altre complicanze come infezioni, perdita di liquido amniotico e sanguinamento.
Detto questo, è sconsigliato effettuare quest’esame invasivo se non estremamente necessario; piuttosto, è meglio valutare con il proprio ginecologo altre tipologie di procedure che possano condurre allo stesso risultato senza mettere in pericolo la salute del bambino.
Risultati dell’esame
Il patrimonio genetico del nascituro che si ottiene attraverso l’amniocentesi può essere studiato e analizzato attraverso diversi tipi di test di laboratorio. I più rapidi, i cui risultati vengono forniti nell’arco di qualche giorno, permettono di verificare l’alterazione di alcuni cromosomi e, di conseguenza, di accertare la presenza di:
- sindrome di Down (trisomia 21, causata da un cromosoma 21 in eccesso);
- sindrome di Edwards (trisomia 18, causata da un cromosoma 18 in eccesso);
- sindrome di Patau (trisomia 13, causata da un cromosoma 13 in eccesso).
Al contempo, è possibile conoscere il sesso del bambino. Successivamente, si possono richiedere esami più dettagliati che permettono di scoprire la presenza di malattie causate da alterazioni geniche submicroscopiche, i cui risultati richiedono 2-3 settimane.
Gli esiti degli esami forniscono due risposte nette: “sì” o “no”. Nella maggior parte dei casi, le future mamme ricevono risultati negativi, dato che il loro bambino non è affetto da alcuna malattia; in caso di esito positivo, invece, bisogna proseguire con altri test per accertare la presenza di una determinata patologia e discutere con i genitori sulle possibili strade da intraprendere. Questo perché, solitamente, si ha a che fare con malattie genetiche incurabili che, nel corso della vita del bambino, richiederanno assistenza e trattamenti specifici da parte di personale specializzato.
Ogni donna, quindi, può sempre decidere di interrompere la gravidanza tramite aborto terapeutico. In ogni caso, è anche possibile che il risultato dell’esame non sia chiaro e sia quindi necessario ripetere la procedura.
Procedure alternative
Per arginare, quindi, il ricorso smisurato all’amniocentesi, molti professionisti propongono tecniche alternative e sicuramente meno rischiose, che utilizzano strumenti precisi e affidabili per rilevare eventuali anomalie cromosomiche:
- ricerca di sostanze nel sangue materno, come Alfa-fetoproteina, Estriolo non coniugato e HCG nel Triplo Test, PAPP-A e Free Beta – HCG nel Duo Test;
- analisi di alcune caratteristiche fisiche del feto, come la misurazione della translucenza nucale (le ossa nasali);
- test combinato, cioè il Duo Test associato con la translucenza nucale, che garantisce un’affidabilità pari all’85%.
Ovviamente, bisogna sempre sottolineare che i test proposti sono sempre e solo screening che, nonostante siano accurati e sensibili, non possono offrire alcuna certezza diagnostica, bensì una semplice percentuale di rischio. Ecco perché la diagnosi prenatale, oggigiorno, viene sempre più personalizzata di caso in caso, cercando di identificare quelle coppie che, già in partenza, presentano dei rischi per il bambino per via della loro storia personale e/o familiare alle quali destinare esami più accurati e invasivi.
Le altre coppie, quelle non a rischio preventivo, possono procedere con ecografia e controlli di routine. Al contempo, alle future mamme è consigliato seguire alcuni accorgimenti nella scelta della dieta alimentare in gravidanza, magari associando l’assunzione di specifici integratori alimentari che possano contribuire al corretto sviluppo del feto.
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Materplus 1 è un integratore alimentare a base di DHA, Acido L-5-Metiltetraidrofolico, Ferro, Vitamine e Sali minerali in grado di:
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- aumentare le concentrazioni di Folati nelle donne in gravidanza;
- favorire la normale emopoiesi;
- contribuire alla crescita dei tessuti materni e allo sviluppo del feto.
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- contribuire alla normale formazione dei globuli rossi e dell'emoglobina;
- favorire il normale trasporto di ossigeno nell’organismo;
- supportare il normale metabolismo energetico;
- incentivare la riduzione di stanchezza e affaticamento.
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- nei soggetti con sindrome dell'ovaio policistico (PCOS);
- per la prevenzione del Diabete Gestazionale;
- in caso di patologie correlate a insulino-resistenza.