Nel corso qualsiasi gravidanza, alla futura mamma è consigliato eseguire diversi test prenatali per monitorare la crescita e la salute del nascituro. Tra questi rientra, insieme all’amniocentesi, anche la villocentesi, un test invasivo che viene effettuato solo in determinate circostanze; in particolare, è molto utile per diagnosticare tempestivamente eventuali malattie genetiche e/o anomalie congenite.

La villocentesi è un esame totalmente sicuro, tanto che viene impiegato da diversi decenni ormai; nonostante ciò, trattandosi comunque di un test invasivo, comporta un rischio di aborto compreso tra l’1% e il 2%, il che deve spingere ogni donna in gravidanza a parlarne prima con il proprio ginecologo per giungere al momento del prelievo completamente consapevole.

Cos’è la villocentesi?

La villocentesi è un esame diagnostico prenatale che consente di rilevare patologie infettive, cromosomiche o metaboliche; prevede, sotto guida ecografica, il prelievo dei villi coriali, cioè la parte embrionale della placenta. Ricchi di capillari, sono incaricati di apportare ossigeno e nutrimento al feto partendo dal sangue materno, per poi restituire anidride carbonica e sostanze di scarto alla madre.

Come accennato, si tratta di un esame invasivo che, nel peggiore dei casi, può provocare un aborto; di contro, non è doloroso e viene eseguito in ambulatorio senza l’ausilio di anestesia o altri farmaci.

Quando si fa la villocentesi?

Secondo le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità, alla madre tra la decima e la tredicesima settimana di gravidanza ed è consigliata quando si presenta un’elevata probabilità che il bambino sia affetto da una malattia genetica. In particolare, si prende in considerazione quando:

  • i test di screening non invasivi per anomalie cromosomiche, come la Sindrome di Down, sono risultati patologici;
  • dall’ecografia del primo trimestre è stata riscontrata un’anomalia congenita del feto;
  • sono nati, precedentemente, altri figli con anomalie cromosomiche;
  • i genitori sono portatori di alterazioni cromosomiche o portatori sani di alcune malattie come anemia mediterranea, fibrosi cistica, emofilia;
  • la madre ha più di 35 anni.

Prima di sottoporsi alla villocentesi, la futura mamma deve sostenere un colloquio con un medico esperto, l’unico in grado di valutare i fattori di rischio e di informare i futuri genitori in merito ai possibili risultati, alle modalità e alle tempistiche di esecuzione e, soprattutto, alle varie controindicazioni.

A cosa serve la villocentesi?

Per capire a cosa serve la villocentesi bisogna partire da un presupposto fondamentale: i cromosomi dei villi coriali sono gli stessi contenuti nelle cellule fetali, dato che ne condividono l’origine embrionale; di conseguenza, la loro analisi permette di diagnosticare malattie cromosomiche a carico del feto quali:

  • sindrome di Down (trisomia 21);
  • sindrome di Patau (trisomia 13);
  • sindrome di Edwards (trisomia 18);
  • altre malattie genetiche come sordità congenita, sindrome dell’X fragile, fibrosi cistica,distrofia muscolare di Duchenne, emoglobinopatie, sindrome di Werdnig-Hoffmann.

Nel caso in cui fosse richiesto, la villocentesi consente anche di poter stabilire la paternità del feto.

Come si esegue la villocentesi?

La villocentesi consiste nel prelievo di una piccola quantità di villi coriali per via transaddominale o per via transcervicale:

  • villocentesi transaddominale: si identifica il punto migliore e si sterilizza la cute; sotto guida ecografica viene, poi, aspirato il campione coriale tramite un ago di 18-20 gauge, che penetra attraverso la parete addominale e quella uterina per giungere al trofoblasto (dove si trovano, appunto, i villi coriali);
  • villocentesi transcervicale: il campione coriale viene aspirato, sempre sotto guida ecografica, attraverso un catetere flessibile in polietilene inserito nel collo dell’utero. In alternativa, lo stesso campione può essere prelevato con una pinza da biopsia.

Nella maggior parte dei casi, tra le due opzioni si sceglie quasi sempre la villocentesi transaddominale. La scelta finale dipende dai risultati mostrati dall’esame ecografico preliminare che serve a stabilire l’epoca gestazionale (la lunghezza del feto e la biometria del cranio) e a valutare il grado di vitalità del feto (con il rilievo del suo battito cardiaco) e la sua posizione.

L’esame ecografico preliminare è indispensabile anche per reperire altre informazioni utili: consente anche di scoprire eventuali gravidanze multiple, constatare la quantità di liquido amniotico, monitorare la posizione dell’utero e risalire alla sede uterina in cui si è inserita la placenta. Tali informazioni servono al medico per individuare il punto di accesso ideale per eseguire il prelievo dei villi coriali.

Trascorsa un’ora dal termine dell’esame, si procede con un ulteriore esame ecografico per valutare lo stato di salute del feto.

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La villocentesi è dolorosa?

Più che dolorosa, la villocentesi può essere definita fastidiosa; in particolare, la modalità transcervicale trasmette una sensazione simile a quella provata durante il pap-test. Dopo l’esecuzione, poi, è normale avvertire contrazioni o avere piccole perdite ematiche, ma si tratta di fenomeni comuni che non devono destare preoccupazione. Bisogna rivolgersi al medico, invece, se a seguito dell’esame si ha la comparsa di perdite abbondanti di sangue o liquido, dolori addominali intensi e febbre.

In generale, comunque, dopo la villocentesi è consigliato il riposo assoluto, in particolare l’astinenza dall’attività fisica e sessuale, per 24-48 ore.

Quanto dura la villocentesi?

Il prelievo previsto dalla villocentesi dura appena 10 minuti, compresa l’introduzione dell’ago; se si aggiungono anche la fase di preparazione e il post-esame, si raggiungono in genere circa 30 minuti totali.

Quali sono i rischi della villocentesi?

Come già sottolineato, la villocentesi è un esame sicuro, di routine ma, in ogni caso, rimane sempre comunque un test invasivo che può comportare alcuni rischi. I principali sono:

  • aborto spontaneo: il rischio si attesta intorno allo 0,22%;
  • sensibilizzazione Rh: il prelievo potrebbe provocare l’ingresso di alcune cellule del sangue del bambino nel flusso sanguigno; di conseguenza, se la mamma ha gruppo sanguigno Rh negativo e non ha sviluppato anticorpi contro l’Rh positivo, dovrà ricevere la somministrazione di un emocomponente (l’immunoglobulina Rh) subito dopo il prelievo in modo che il corpo produca anticorpi Rh in grado di attraversare la placenta e danneggiare i globuli rossi del feto;
  • infezione: in casi molto rari potrebbe insorgere un’infezione uterina;
  • difetti fisici nel feto: sempre in casi molto rari, il prelievo potrebbe causare difetti alle dita di mani e piedi del feto.

Si tratta, comunque, di eventualità eccezionali che in presenza di un medico esperto e nel corso di una procedura eseguita correttamente non dovrebbero verificarsi.

Quali possono essere i risultati della villocentesi?

I risultati della villocentesi richiedono tempistiche variabili, in base alle anomalie ricercate; nell’arco di pochi giorni è possibile ottenere i risultati in merito alle anomalie cromosomiche mentre nel caso delle alterazioni genetiche possono essere necessarie anche 2-3 settimane.

Si possono ottenere, poi, anche dei falsi positivi, cioè delle anomalie genetiche presenti solo nelle cellule della placenta e non in quelle del feto; si tratta, per fortuna, di una piccola percentuale di casi che, per essere risolti, richiedono l’esecuzione dell’amniocentesi.

Villocentesi o amniocentesi?

Come scegliere tra amniocentesi e villocentesi? Spieghiamo brevemente la differenza, perché per decidere bisogna innanzitutto capire a cosa servono le due procedure:

  • l’amniocentesi consiste nel prelievo di cellule fetali presenti nella cavità amniotica; si esegue tra la 15esima e la 18esima settimana di gravidanza con il prelievo del liquido amniotico, quello che circonda il feto, ricco di cellule che possono essere sottoposte ad analisi genetiche;
  • la villocentesi può essere eseguita molto prima e permette di ottenere risposte in tempi più brevi.

La scelta, in ogni caso, tra le due opzioni deve essere compiuta dal ginecologo che, a sua volta, può richiedere un terzo parere per valutare la via più sicura.

Cosa fare prima e dopo la villocentesi?

La villocentesi non richiede una preparazione specifica; la futura mamma dovrebbe semplicemente non esagerare con il cibo prima dell’esame (potrebbe seguire una dieta specifica per la gravidanza) e cercare di rimanere il più calma possibile, così da non alimentare stress e ansie.

Terminato l’esame, dopo circa un’ora, viene eseguita un’ecografia per valutare il battito cardiaco fetale. Dopodiché, la paziente può tornare a casa e riprendere la sua routine quotidiana cercando, comunque, di evitare sforzi fisici e astenersi dall’attività sessuale per un paio di giorni.

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